All’età di 85 anni, Renato Pozzetto ha fatto i nomi di 5 persone che non ha mai perdonato.

A 85 anni, quando il sipario cala e le luci della ribalta si spengono, rimane solo l’uomo. Renato Pozzetto, icona indiscussa di un’Italia che sapeva ridere con garbo e intelligenza, oggi vive lontano dal caos, nella quiete quasi monastica di Laveno Mombello. È qui, tra le sponde del Lago Maggiore che hanno cullato la sua infanzia, che l’attore ha deciso di togliersi la maschera comica per rivelare un volto inedito, segnato non dalle rughe, ma dalle cicatrici dell’anima. In una confessione che ha il sapore di un testamento spirituale, Pozzetto ha svelato l’esistenza di una “lista nera”: cinque persone, cinque ombre del passato, che non ha mai perdonato e che, forse, non perdonerà mai.
Non c’è rabbia nelle sue parole, né quel livore rumoroso tipico di chi cerca vendetta sui social media. C’è invece la calma olimpica di chi ha sofferto troppo per sprecare fiato in urla. “Ci sono cinque persone che non perdonerò mai nella mia vita”, ha ammesso con quella sua voce nasale inconfondibile, ora velata da una malinconia disarmante. “Non perché serbi rancore, ma perché certe ferite non si chiudono più”. Ma chi sono questi fantasmi che tormentano la memoria di uno degli artisti più amati del nostro Paese? E cosa hanno fatto per meritare un posto nell’archivio doloroso del “Ragazzo di Campagna”?
Il primo tradimento: la firma che valeva zero
Per capire il primo nome, bisogna riavvolgere il nastro fino agli anni ’70. Renato era all’apice, il successo con Cochi Ponzoni lo aveva reso una star. Fu allora che un noto produttore milanese, un uomo dal sorriso affabile e dai modi eleganti, lo convinse a firmare un contratto esclusivo. Tre film in due anni, libertà creativa, un sogno. Peccato che fosse tutto un castello di carte. Pozzetto scoprì sulla sua pelle che in quel mondo luccicante una stretta di mano valeva meno della carta straccia. I fondi promessi furono dirottati altrove, i progetti cancellati, e lui rimase bloccato, ostaggio di un contratto che gli impediva di lavorare. “Mi guardò negli occhi e mi disse: ‘Non ti preoccupare, è solo un rinvio’. Non era vero”, ricorda Renato. Quel produttore gli insegnò la lezione più amara: il sorriso, nel cinema, è spesso solo una maschera per nascondere i denti del lupo.
L’amico che rubò la voce
Se il primo tradimento fu “affaristico”, il secondo fu squisitamente personale, e per questo brucia ancora di più. Negli anni ’80, Renato aveva preso sotto la sua ala un collega, un comico emergente che considerava un fratello minore. Lo ospitava nella sua villa, condivideva con lui idee e progetti. Pozzetto aveva in mente una commedia poetica, ambientata tra Milano e il lago, una storia che sentiva cucita addosso. Ma mentre Renato era in tournée, l’amico — che chiameremo Sergio, un nome di fantasia per coprire un’identità fin troppo reale — gli rubò l’idea. Presentò il progetto come suo, si fece finanziare e girò il film, prendendosi il ruolo da protagonista. Quando Pozzetto vide il trailer in TV, sentì una fitta allo stomaco. Non disse nulla, si chiuse nel silenzio. “Non si può perdonare chi ti ruba la voce”, ha detto anni dopo. Quel film ebbe successo, ma l’amicizia morì per sempre, sepolta sotto il peso dell’ambizione altrui.
Lo sciacallo nel momento del lutto

Il terzo nome è quello che fa più male, perché legato al momento più tragico della vita di Renato: la morte della moglie Brunella nel 2009. Brunella non era solo una moglie, era il suo faro, la sua bussola in un mondo di pazzi. Quando lei se ne andò, Renato perse l’orientamento. E fu proprio in quel momento di estrema fragilità che un suo storico collaboratore, l’uomo a cui aveva affidato la gestione dei suoi beni, decise di colpire. Approfittando del dolore di Pozzetto, iniziò a sottrarre denaro, falsificare firme, svuotare conti. Fu un tradimento vile, compiuto alle spalle di un uomo che piangeva la donna della sua vita. Scoperto da un avvocato amico, Renato non cercò vendetta legale, ma chiuse i ponti per sempre. “Ho smesso di credere che la bontà basti”, disse. Da quel giorno, il cuore di Pozzetto si è fatto più cauto, blindato contro gli opportunisti.
Il sistema che dimentica
Il quarto “nome” non è una persona fisica, ma un’entità: l’industria cinematografica moderna. Con l’avvento del nuovo millennio, la comicità è cambiata. È diventata urlata, volgare, frenetica. E Renato, con i suoi tempi comici dilatati, i suoi sguardi surreali e la sua gentilezza, si è sentito messo alla porta. “Oggi ridono di cose che mi fanno piangere”, ha confessato. Produttori che un tempo facevano la fila per averlo, improvvisamente non rispondevano più al telefono. Gli dicevano che “non funzionava più”, che la gente voleva solo distrarsi senza pensare. Sentirsi rottamare da un sistema che aveva contribuito a costruire è stata una ferita profonda. Pozzetto non perdona a questo meccanismo l’aver dimenticato l’anima delle cose, l’aver sacrificato l’eleganza sull’altare del profitto immediato.
Il figlio mancato
E infine, il quinto nome. Il più misterioso, il più intimo. “Il quinto è quello che mi ha fatto più male”, ha confidato Renato agli amici più stretti. Si tratta di un giovane attore, qualcuno che Pozzetto amava come un figlio. Lo aveva aiutato a emergere, difeso dalle critiche, portato sui suoi set. Ma quando il successo è arrivato, il giovane lo ha abbandonato, tagliando ogni legame per inseguire la fama facile della televisione commerciale. Un’ingratitudine che ha spezzato qualcosa nel profondo dell’attore milanese. “Ho imparato che non puoi salvare chi non vuole essere salvato”, è l’amara conclusione.
Oggi, Renato Pozzetto non cerca rivalsa. Vive i suoi 85 anni con la dignità di un vecchio leone che si lecca le ferite al sole. Scrive le sue memorie a mano, su fogli che profumano di inchiostro, e ogni sera parla con la foto di Brunella. “A te posso perdonare tutto, agli altri solo il tempo”, le sussurra. Il suo non è un elenco di odio, ma di memoria. Perché, come dice lui stesso, “perdonare è un lusso che appartiene ai santi, io sono solo un uomo”. E in questa ammissione di umanità, in questa incapacità di cancellare il male ricevuto, Renato Pozzetto si rivela ancora più grande, più vero e più vicino a noi di quanto non lo sia mai stato in cinquant’anni di carriera. Ci insegna che si può sorridere anche con il cuore spezzato, e che la vera forza non sta nel dimenticare, ma nel ricordare tutto senza lasciarsi avvelenare.