CONTE A DIMARTEDÌ: “MELONI SI NASCONDE DIETRO I TROMBETTIERI MENTRE IL MONDO BRUCIA. RISCHIAMO LA GUERRA E LORO PENSANO AI CONDONI PER GLI AMICI”

ROMA – Se qualcuno pensava che l’inverno politico portasse consiglio e mitezza, si sbagliava di grosso. Martedì sera, negli studi di La7, è andato in scena uno degli attacchi più duri e frontali che si ricordino negli ultimi tempi. Giuseppe Conte, ospite di Giovanni Floris a DiMartedì, non si è limitato a fare opposizione: ha smontato, pezzo per pezzo, la narrazione del governo Meloni, dipingendo un quadro dell’Italia (e del mondo) ben diverso dalle rassicuranti veline di Palazzo Chigi.
I “Trombettieri” e la Fuga dal Confronto L’incipit dell’ex Premier è una sciabolata diretta a Giorgia Meloni. “Abbiamo un Presidente del Consiglio che si vanta con Trump di potersi sottrarre al confronto con i giornalisti”, accusa Conte con il volto tirato. Per il leader pentastellato, la Premier ha costruito una fortezza di silenzio, protetta da quelli che lui definisce sprezzantemente “tantissimi trombettieri che vanno dappertutto a raccontare la favola che va tutto bene”. Ma fuori dal palazzo, la realtà è ben diversa, e Conte è lì per ricordarcelo.
L’Incubo della Guerra: “Questa Generazione Rischia Tutto” Il passaggio più drammatico dell’intervista tocca le corde della paura più profonda. Mentre si discute di beghe interne, lo scenario internazionale sta precipitando. “Putin sta acquisendo vantaggi sul campo”, ammette Conte con un realismo che gela lo studio. Non ci sono giri di parole: il rischio che la guerra arrivi a toccare direttamente le nostre vite, e quelle dei nostri figli, è concreto. “Questa generazione rischia di conoscere la guerra”, avverte. Un monito che suona come una condanna verso un’Europa e un governo italiano incapaci di imporre una svolta diplomatica, preferendo seguire inerzie pericolose.

Economia: La Beffa per i Cittadini Onesti Se la politica estera preoccupa, quella interna fa infuriare. Conte punta il dito contro la gestione economica del governo, accusato di aver “istituzionalizzato i condoni”. La critica è feroce: mentre le famiglie faticano ad arrivare a fine mese con un potere d’acquisto eroso, il governo lancia la “rottamazione quinquies”, poi la “sexies”, in un ciclo infinito che premia i furbi. “Significa che oggi ci sono cittadini onesti che hanno faticato per pagare e loro stanno finanziando la rottamazione”, spiega Conte. Il messaggio è devastante: se paghi le tasse sei un fesso, se aspetti il prossimo condono sei un furbo tutelato dallo Stato. E cita la Corte dei Conti per rincarare la dose: lo Stato sta di fatto “prestando soldi” a chi non paga, con un costo sociale enorme per la collettività.
Giustizia o Scudo Spaziale per la Casta? Non poteva mancare l’affondo sulla riforma della giustizia targata Nordio. Per Conte, la separazione delle carriere e le nuove norme non servono a velocizzare i processi (scopo che, sottolinea, nessuno ha mai davvero rivendicato tra i promotori), ma hanno un unico, inconfessabile obiettivo: “Scudare i politici rispetto alle inchieste sgradite”. È il ritorno della Casta nella sua forma più arrogante. Una giustizia forte con i deboli e servile con i forti, dove la politica cerca di rendersi intoccabile mentre i problemi reali dei tribunali restano irrisolti.
Il Ponte e le Promesse Eterne C’è spazio anche per l’ironia amara sul Ponte sullo Stretto, il cavallo di battaglia di Salvini. “Partiremo a febbraio? È un secolo che se ne parla”, taglia corto Conte, evidenziando come le risorse vengano distratte su progetti faraonici e incerti mentre le infrastrutture esistenti crollano e la sanità è al collasso.
La Sfida Finale Giuseppe Conte esce dallo studio di DiMartedì lasciando sul tavolo una domanda inquietante: quanto a lungo gli italiani crederanno alle “favole” dei trombettieri prima di accorgersi che la casa sta bruciando? Tra venti di guerra e un’economia che strizza l’occhio agli evasori, l’alternativa proposta dal M5S vuole essere radicale. E i sondaggi citati (con un M5S che intercetta il 20% del potenziale voto degli astenuti) suggeriscono che la partita è tutt’altro che chiusa.
Il guanto di sfida è lanciato. Ora sta a Meloni, se vorrà uscire dalla sua torre d’avorio, raccoglierlo.