Il Paradosso del “Re del Cashmere”: Perché lo Stato Finanzia con 4 Milioni il Film di un Miliardario?

Il Paradosso del “Re del Cashmere”: Perché lo Stato Finanzia con 4 Milioni il Film di un Miliardario?

Meloni & Co. làm quảng cáo cho Cucinelli. Sau đó là cuộc chạy đua may đo quần áo.

C’è una sottile linea rossa che divide ciò che è legalmente ineccepibile da ciò che è eticamente discutibile, e talvolta quella linea attraversa i bilanci dello Stato e finisce dritta nelle tasche di chi, apparentemente, non ne avrebbe alcun bisogno. La notizia, riportata con precisione chirurgica da Thomas Mackinson, ha l’effetto di uno schiaffo in pieno volto per il cittadino comune: lo Stato italiano finanzierà con ben 4 milioni di euro di tax credit il film autobiografico di Brunello Cucinelli.

Sì, avete letto bene. Non stiamo parlando di un giovane regista esordiente che cerca di raccontare la periferia dimenticata, né di una piccola casa di produzione che rischia il fallimento per portare alla luce un documentario di inchiesta. Stiamo parlando di un colosso della moda, un’icona del Made in Italy la cui società si prepara a stappare bottiglie di champagne pregiato per celebrare, nel 2025, il traguardo storico di un miliardo di euro di ricavi.

Il Cortocircuito del “Capitalismo Umanistico”

Brunello Cucinelli non è un imprenditore qualsiasi. Negli anni ha costruito la sua intera narrazione pubblica, e il suo indubbio successo commerciale, attorno al concetto di “Capitalismo Umanistico”. È l’uomo che cita Adriano Olivetti, che parla di dignità del lavoro, che ha restaurato il borgo di Solomeo per farne un tempio della bellezza e dello spirito. La sua figura è ammantata di un’aura quasi filosofica, lontana dalla rapacità che spesso attribuiamo alla finanza globale.

Ed è proprio qui che il cortocircuito diventa accecante. Come si concilia la filosofia del “dare indietro alla comunità” con l’accettazione di un assegno pubblico così ingente per un progetto che, a tutti gli effetti, appare come un’opera di auto-celebrazione?

Il tax credit, lo strumento tecnico attraverso il quale questi fondi vengono erogati, nasce con l’intento nobile di sostenere l’industria cinematografica, di attrarre investimenti e di permettere al settore culturale di fiorire. Tuttavia, quando a beneficiarne è un’azienda con una potenza di fuoco finanziaria colossale, il meccanismo sembra incepparsi, o quantomeno, sembra aver perso la sua bussola morale.

Quattro Milioni: Una Goccia nel Mare per Cucinelli, un Oceano per la Cultura

Per capire la portata della questione, bisogna mettere i numeri in prospettiva. Per un’azienda che fattura un miliardo di euro, 4 milioni possono sembrare una voce di bilancio trascurabile, quasi un arrotondamento. Ma per il panorama culturale italiano, 4 milioni di euro sono una cifra mostruosa.

Con quella stessa somma si potrebbero finanziare interamente dieci film indipendenti di medio budget. Si potrebbero salvare decine di piccoli festival cinematografici che rischiano la chiusura. Si potrebbero istituire borse di studio per centinaia di giovani sceneggiatori e registi che fuggono all’estero perché in Italia non trovano spazio. Invece, quella somma andrà a coprire parte dei costi di produzione di un film che racconterà la vita di un uomo che ha già tutti i mezzi possibili per raccontarsela da solo, e con lo sfarzo che desidera.

Meloni all'anteprima del film su Cucinelli. E c'è Draghi | Corriere.it

È difficile non provare un senso di smarrimento di fronte a questa disparità. Il messaggio che passa, involontariamente o meno, è che il sistema dei finanziamenti pubblici funzioni secondo una logica distorta: piove sempre sul bagnato. Chi ha le strutture, i consulenti e la forza amministrativa per accedere ai fondi, li ottiene, a prescindere dalla reale necessità economica.

La Legalità non è l’unico Metro di Giudizio

Sia chiaro: nessuno sta accusando Brunello Cucinelli o la sua società di aver commesso un illecito. Le leggi sul tax credit sono chiare e, se i requisiti sono stati rispettati, l’erogazione del credito è un atto dovuto. L’imprenditore ha fatto ciò che qualsiasi direttore finanziario suggerirebbe: ha utilizzato uno strumento messo a disposizione dallo Stato per ottimizzare i costi.

Ma il punto focale del dibattito non è giuridico, è politico e sociale. È opportuno che le maglie del finanziamento pubblico siano così larghe da includere anche chi macina utili record? Non dovrebbe esistere un tetto, o un criterio di proporzionalità, che indirizzi le risorse pubbliche verso chi ne ha vitale bisogno per esistere, piuttosto che verso chi le usa per aumentare ulteriormente i propri margini?

La storia di Cucinelli è indubbiamente affascinante. Partito dal nulla, ha creato un impero basato sulla qualità e su un’idea di lusso etico. È una storia che merita di essere raccontata, certo. Ma la domanda che molti si pongono oggi è: perché dobbiamo pagarla noi? Se l’autobiografia è un desiderio dell’imprenditore, o una strategia di marketing del brand, non dovrebbe rientrare nei costi d’impresa, totalmente a carico della società che ne beneficerà in termini di immagine?

Il Rischio Boomerang per l’Immagine del Brand

Who was at the Brunello Cucinelli film premiere, from Jonathan Bailey to  Italian PM Giorgia Meloni | South China Morning Post

C’è poi un aspetto che forse a Solomeo hanno sottovalutato: il rischio reputazionale. In un’epoca in cui i consumatori sono sempre più attenti non solo alla qualità del prodotto, ma anche al comportamento etico delle aziende, questa mossa potrebbe rivelarsi un boomerang.

Il “Capitalismo Umanistico” si basa sulla fiducia e sulla percezione di una diversità morale rispetto al capitalismo predatorio. Accedere a fondi pubblici destinati alla cultura per un progetto personale, mentre il paese attraversa momenti economici complessi e il settore dello spettacolo è in sofferenza, rischia di incrinare quell’immagine immacolata costruita in decenni di lavoro. Appare come una caduta di stile, una nota stonata in una sinfonia che finora era stata perfetta.

Sui social media, l’indignazione è palpabile. La gente comune, quella che paga le tasse e non ha accesso a crediti d’imposta milionari, percepisce questa operazione come un’ingiustizia. E nel tribunale dell’opinione pubblica, la sentenza arriva spesso prima e colpisce più duro di qualsiasi verifica amministrativa.

Un Sistema da Rivedere?

Questa vicenda, al di là del caso specifico di Cucinelli, accende un faro necessario sul funzionamento del Ministero della Cultura e sui criteri di assegnazione dei fondi. Se il sistema permette paradossi di questo genere, forse è il sistema stesso che va ripensato.

La cultura è un bene comune, e le risorse per sostenerla sono limitate. Ogni euro speso per chi non ne ha bisogno è un euro sottratto a chi, senza quell’aiuto, non potrebbe mai far sentire la propria voce. È una questione di priorità. Vogliamo uno Stato che sovvenziona i successi consolidati o uno Stato che scommette sul futuro e sulla pluralità delle voci?

Il film su Brunello Cucinelli si farà, e con tutta probabilità sarà un prodotto di altissima qualità estetica, in linea con lo stile della maison. Ma quando scorreranno i titoli di coda e apparirà la dicitura “Realizzato con il contributo del Ministero della Cultura”, molti spettatori non potranno fare a meno di chiedersi se quei 4 milioni di euro non avrebbero potuto scrivere un finale diverso per tante altre storie italiane che, oggi, rimangono non raccontate.

In attesa di vedere l’opera sul grande schermo, resta l’amaro in bocca per una gestione delle risorse pubbliche che, ancora una volta, sembra premiare chi ha già vinto, lasciando le briciole a chi sta ancora combattendo.

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