LE PAROLE DI VANNACCI FANNO IMPAZZIRE ALESSANDRO ZAN CHE PERDE IL CONTROLLO E FA UNA FIGURACCIA

È stata una serata di televisione destinata a restare negli annali dei talk show politici italiani, quella andata in scena a Quarta Repubblica. Un duello rusticano, senza esclusione di colpi, che ha visto contrapposti due mondi, due visioni della società e, oseremmo dire, due linguaggi completamente diversi. Da una parte il Generale Roberto Vannacci, figura controversa e ormai ubiqua nel panorama mediatico, forte del successo del suo libro e delle sue posizioni “controcorrente”; dall’altra Alessandro Zan, paladino dei diritti civili e padre del ddl contro l’omotransfobia, visibilmente agitato e pronto a dare battaglia. Ma quello che doveva essere un dibattito politico si è trasformato, in pochi minuti, in una surreale lezione di semantica che ha lasciato il pubblico – e lo stesso Zan – interdetti.
L’accusa di vittimismo e la “libertà d’espressione”
Le ostilità si sono aperte subito con toni altissimi. Alessandro Zan non ha perso tempo e ha attaccato il Generale sul piano della coerenza. “Vedo un Vannacci che fa la vittima e si lamenta di una mancata libertà di espressione”, ha esordito il deputato del Partito Democratico, sottolineando come il militare sia una presenza fissa in tutti i talk show e sulle pagine di tutti i giornali. “Non mi sembra assolutamente che ci sia una limitazione della sua libertà”, ha incalzato Zan. L’accusa è chiara: Vannacci userebbe la strategia del “perseguitato” per amplificare le sue tesi, tesi che Zan definisce senza mezzi termini “terribili”, accusandolo inoltre di ritrattare puntualmente ogni affermazione controversa una volta che questa solleva un polverone.
Zan ha provato a inchiodare il suo interlocutore su un terreno scivoloso, citando le frasi del Generale riguardo agli studenti con disabilità e al loro presunto disagio in classi dove “tutti capiscono al volo”. “Lo trovo ripugnante”, ha tuonato Zan, cercando di suscitare una reazione emotiva nello studio. Ma è qui che la strategia di Vannacci si è rivelata: una calma olimpica, quasi provocatoria, contrapposta all’foga dell’avversario. Il Generale ha negato categoricamente di aver mai parlato di dignità o diritti differenziati, introducendo il primo dei suoi distinguo lessicali: “La discriminazione è diversa dalla diversità”.
Il cuore dello scontro: l’omosessualità e il “Gene Gay”
Ma il vero casus belli, il momento in cui la temperatura dello studio ha raggiunto il punto di ebollizione, è stato quando il discorso si è spostato sul tema dell’omosessualità. Vannacci ha ribadito con fermezza che non esiste alcuna differenza di diritti e dignità tra omosessuali ed eterosessuali, ma ha subito aggiunto una chiosa che ha fatto saltare sulla sedia Zan: “L’onorevole Zan ha detto una cosa totalmente ascientifica perché il gene dell’omosessualità non esiste, lo stanno ancora cercando”.
Un’affermazione che ha spostato il dibattito dal piano dei diritti a quello della biologia e della statistica, un terreno su cui il Generale sembra muoversi con la freddezza di un cecchino. Zan, visibilmente spiazzato da questa deviazione “scientifica”, ha cercato di riportare il discorso sulla “normalità”. “Lei sta dicendo che l’omosessualità non è normale sulla base di non so che cosa”, ha incalzato il deputato. Ed è qui che è scattata la trappola retorica.
La trappola dei capelli rossi e la lezione di vocabolario

In un tentativo di reductio ad absurdum, Alessandro Zan ha giocato quella che credeva essere la sua carta vincente: l’analogia con le persone dai capelli rossi. “Delle persone che hanno i capelli rossi, che sono poche, allora si dice che non sono normali? È una cosa totalmente folle, un’idea eugenetica”, ha affermato Zan, convinto di aver messo Vannacci con le spalle al muro. Come si potrebbe mai definire “anormale” una persona solo per il colore dei capelli?
Ma Vannacci non ha battuto ciglio. Anzi, ha colto la palla al balzo per sferrare il suo attacco finale. Alla domanda diretta di Zan: “Lei direbbe che le persone con i capelli rossi non sono normali?”, la risposta del Generale è stata un secco, lapidario: “Certamente sì”.
Gelo in studio. Vannacci ha spiegato la sua logica con una freddezza disarmante: “Se lei li compara con tutta la popolazione italiana che non ha i capelli rossi, non rientrano nella normalità. Essere normale vuol dire entrare entro determinati canoni della norma. Questa è la definizione, che piaccia o no”.
Semantica vs Sentimento
È in questo passaggio che si cristallizza l’insanabile frattura tra i due. Per Zan, la parola “normale” ha un’accezione valoriale, morale: dire che qualcuno “non è normale” equivale a emarginarlo, a offenderlo, a considerarlo inferiore. Per Vannacci, invece, la parola è puramente descrittiva, statistica, matematica. “Non possiamo cambiare il significato delle parole a proprio piacimento. La semantica serve proprio a questo”, ha sentenziato il Generale, chiudendo il duello con un consiglio che suonava come uno schiaffo morale: “Consulti i vocabolari, onorevole Zan, si informi”.
Questa chiusura rappresenta perfettamente la strategia comunicativa di Vannacci: ancorarsi al significato letterale dei termini per rendere inattaccabili affermazioni che, sul piano sociale, risultano incendiarie. Dicendo che un omosessuale (o un rosso di capelli) non è “normale”, lui si scuda dietro la curva di Gauss, dietro la statistica, respingendo l’accusa di omofobia o discriminazione. “È solo un dato di fatto”, sembra dire.
Dall’altra parte, Zan ne esce come il rappresentante di una visione in cui il linguaggio deve evolversi per essere inclusivo, dove le parole pesano come macigni e non possono essere ridotte a mere definizioni da dizionario. La sua indignazione (“È una cosa folle!”) si scontra contro il muro di gomma del razionalismo esasperato di Vannacci.
Conclusione: Un dialogo tra sordi che divide il Paese
L’episodio di Quarta Repubblica non è stato solo un momento di televisione urlata, ma la rappresentazione plastica di un Paese diviso. Da una parte chi, come Zan, vede nella diversità un valore da proteggere anche attraverso il linguaggio; dall’altra chi, come Vannacci, rivendica il diritto di usare le parole nel loro senso più crudo e tradizionale, rifiutando quelle che considera imposizioni del “politicamente corretto”.
Vannacci ne esce, agli occhi dei suoi sostenitori, come colui che ha il coraggio di dire l’indicibile, supportato dalla “logica”. Zan ne esce, per i suoi, come l’unico argine contro una deriva culturale pericolosa che maschera l’intolleranza con la statistica. Ma una cosa è certa: quella frase, “Consulti i vocabolari”, diventerà un tormentone, simbolo di un dibattito pubblico dove non ci si capisce più nemmeno sul significato delle parole che usiamo. E voi, da che parte state? Quella del cuore o quella del vocabolario?