MAURIZIO BELPIETRO SCATENATO UMILIA FRIEDMAN E LO COSTRINGE A METTERSI IN RIDICOLO DA SOLO

In un panorama televisivo spesso dominato dal pensiero unico e da narrazioni preconfezionate che faticano a reggere l’urto con la realtà, lo scontro andato in scena tra Maurizio Belpietro e Alan Friedman rappresenta un momento di rottura clamoroso. Non è stato il solito battibecco tra opinionisti, ma il collasso di una visione ideologica – quella dell’occidente infallibile e delle sanzioni magiche – sotto i colpi di un pragmatismo spietato.
Maurizio Belpietro, con la lucidità di chi non deve rispondere a segreterie di partito o a cancellerie straniere, ha letteralmente messo all’angolo il giornalista americano, costringendolo ad ascoltare quella verità che nei salotti buoni si preferisce ignorare: la strategia dell’Occidente in Ucraina ha fallito, e continuare a negarlo è un esercizio di pericolosa vanità.
Il Teorema di Friedman: “Il Re è Nudo”
Tutto inizia con l’intervento di Alan Friedman, che incarna perfettamente la linea atlantista più ortodossa. Il suo ragionamento è un classico della retorica interventista: Vladimir Putin non vuole la pace. Per dimostrarlo, Friedman cita la composizione della delegazione russa a Istanbul, parlando di “killer del GRU” e spie militari, dipingendo un quadro in cui Mosca finge di trattare mentre continua a massacrare donne e bambini.
“Il re è nudo”, afferma Friedman con teatralità, citando la favola di Andersen per dire che le intenzioni malvagie del Cremlino sono ormai palesi a tutti, specialmente dopo che Erdogan ha dichiarato che la Crimea non deve tornare alla Russia. Per il giornalista americano, la disponibilità di Zelensky a trattare è la prova della buona fede ucraina, contrapposta alla doppiezza russa. Una narrazione manichea, semplice, rassicurante: noi siamo i buoni, loro i cattivi assoluti con cui è inutile parlare.
La Furia di Belpietro: “E Allora?”
È qui che scatta la reazione di Maurizio Belpietro. Non una difesa d’ufficio di Putin, ma un attacco frontale all’inconsistenza delle soluzioni proposte da Friedman e dall’establishment che rappresenta. “Ammettiamo anche che Putin non voglia la pace”, esordisce il direttore, smontando subito la premessa avversaria non contestandola, ma rendendola irrilevante. “E allora? Qual è la soluzione? Cosa facciamo?”.
Queste domande, semplici e terribili, cadono come macigni nello studio. Belpietro mette Friedman di fronte alle conseguenze logiche della sua retorica: se Putin è il male assoluto e non vuole trattare, l’unica alternativa è la guerra totale. “Vuol dire che i soldati italiani, francesi e tedeschi devono andare a combattere in Ucraina?”.

Friedman prova a interrompere, a divincolarsi, ma Belpietro è un fiume in piena. Accusa i commentatori come lui di fare “proclami inutili”, di riempire l’aria di chiacchiere televisive che non spostano di un millimetro la realtà sul campo di battaglia, dove la gente continua a morire mentre i leader mondiali – da Macron a Erdogan, passando per Trump – cercano solo il loro “pezzettino di visibilità”.
Il Fallimento delle Sanzioni e la Realtà del Fronte
Il punto più alto – e politicamente più scorretto – dell’intervento di Belpietro riguarda l’efficacia delle sanzioni. Per tre anni e mezzo ci hanno raccontato che le misure economiche avrebbero piegato la Russia, che il default era questione di giorni, che l’isolamento avrebbe costretto Putin alla resa.
“Non sono servite a nulla!”, tuona Belpietro. E i fatti sembrano dargli ragione. L’economia russa non è crollata, anzi, si è riorganizzata, e l’unico risultato tangibile, secondo il direttore, è stato quello di “gettare la Russia nelle braccia della Cina”, creando un blocco geopolitico avversario ancora più potente.
Mentre Friedman cerca di riportare il discorso sulla moralità e sulle colpe russe, Belpietro lo inchioda alla mappa geografica. “La Russia ha conquistato il 20% del territorio ucraino. Non c’è nessuna possibilità credibile che l’Ucraina possa riconquistarlo”. È una doccia fredda per chi vive di wishful thinking. Dire che Zelensky può ribaltare le sorti del conflitto e riprendersi la Crimea è, per Belpietro, una menzogna che serve solo a prolungare l’agonia.
“Stia Buono Friedman, Faccia Parlare Me”
Lo scontro verbale si accende anche sul piano personale. Friedman, abituato a dominare la scena con il suo stile assertivo, soffre le argomentazioni taglienti di Belpietro e tenta più volte di sovrapporsi. “Stia buono, io l’ascolto, faccia parlare anche me”, lo rimprovera il direttore italiano, stanco dell’atteggiamento di superiorità morale spesso esibito dagli ospiti d’oltreoceano.
L’accusa di Belpietro è durissima: voi venite in televisione a raccontare favole (“chiacchiere inutili”), mentre la realtà è fatta di un milione di morti e di un paese devastato. Il “Re Nudo” di Friedman diventa, nella rilettura di Belpietro, un argomento da salotto che non interessa a nessuno di fronte alla tragedia della guerra e all’inevitabilità del negoziato.
L’Ipocrisia Geopolitica

Belpietro non risparmia nemmeno le sottigliezze geopolitiche su Erdogan e la Crimea. Quando Friedman cita il leader turco come baluardo contro le pretese russe, Belpietro ricorda sornione che se Erdogan dice che la Crimea non è russa, è perché “originariamente era turca” e Ankara ha i suoi appetiti neo-ottomani sul Mar Nero.
Tutti hanno interessi, tutti giocano una partita cinica. L’unico che sembra avere il coraggio di dirlo apertamente è proprio Belpietro, che spazza via la retorica dei “valori” per mostrare l’ingranaggio nudo e crudo degli interessi nazionali.
Conclusione: Il Trionfo del Realismo
Questo dibattito segna un punto di non ritorno nella narrazione del conflitto. Le parole di Belpietro risuonano come la voce di quella maggioranza silenziosa di italiani stanchi di pagare il conto di scelte strategiche fallimentari, stanchi di sentirsi dire che “la vittoria è vicina” mentre le bollette aumentano e il rischio di escalation cresce.
Friedman esce dallo studio ridimensionato, “umiliato” non tanto dall’aggressività verbale dell’avversario, quanto dalla forza dei fatti. Perché alla fine, come sottolinea brutalmente Belpietro, “chi se ne frega del re nudo”. Ciò che conta è come fermare il massacro ed evitare che l’Europa sprofondi nel baratro. E la risposta non è certo nelle “chiacchiere inutili” di chi predica la guerra dal divano di uno studio televisivo.