Da oggi la cucina italiana è patrimonio dell’Unesco: non solo piatti, ma un “sistema culturale complesso”. Meloni: «Ci inorgoglisce»
Un riconoscimento che premia un modello culturale capace di unire territori, tradizioni e saperi, e che rafforza il peso internazionale della nostra identità gastronomica
«Adopted!» e cioè «Accolto!». Così l’Unesco ha ufficializzato la Cucina italiana come Patrimonio culturale immateriale dell’umanità. I motivi: «Favorisce l’inclusione sociale, promuove il benessere e offre un canale per l’apprendimento intergenerazionale permanente, rafforzando i legami, incoraggiando la condivisione e promuovendo il senso di appartenenza». Un riconoscimento che arriva dopo altri specifici come, ad esempio, l’Arte del pizzaiuolo napoletano. A deciderlo è stato il Comitato intergovernativo, riunito questa mattina a Nuova Delhi, in India. Tra i presenti alla cerimonia il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani per il Governo Meloni, già in India per rafforzare le relazioni politiche ed economiche con il gigante del Sud-est asiatico.
I primi commenti
In un videomessaggio, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato: «Oggi l’Unesco ha riconosciuto la Cucina italiana Patrimonio dell’umanità. Siamo i primi al mondo a ottenere questo riconoscimento, che onora quello che siamo e la nostra identità. Perché per noi italiani la cucina non è solo cibo o un insieme di ricette. È molto di più: è cultura, tradizione, lavoro, ricchezza. La nostra cucina nasce da filiere agricole che coniugano qualità e sostenibilità. Custodisce un patrimonio millenario che si tramanda di generazione in generazione. Cresce nell’eccellenza dei nostri produttori e si trasforma in capolavoro nella maestria dei nostri cuochi. E viene presentata dai nostri ristoratori con le loro straordinarie squadre. È un primato che ci inorgoglisce, e ci consegna uno strumento formidabile per valorizzare ancor di più i nostri prodotti e proteggerli con maggiore efficacia da imitazioni e concorrenza sleale».
E ancora: «Già oggi esportiamo 70 miliardi di euro di agroalimentare, e siamo la prima economia in Europa per valore aggiunto dell’agricoltura. Questo riconoscimento imprimerà al Sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi. Il Governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo risultato, e ringrazio prima di tutto i Ministri Lollobrigida e Giuli per aver seguito il dossier. Ma è una partita che non abbiamo giocato da soli. Abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano, insieme ai nostri connazionali all’estero, insieme a tutti coloro che nel mondo amano la nostra cultura, la nostra identità e il nostro stile di vita. Oggi celebriamo una vittoria dell’Italia. La vittoria di una Nazione straordinaria che, quando crede in sé stessa ed è consapevole di ciò che è in grado di fare, non ha rivali e può stupire il mondo. Viva la cucina italiana! Viva l’Italia!», ha concluso Meloni.
Dal canto suo Antonio Tajani ha sottolineato come «si vince quando c’è un grande gioco di squadra e l’ingresso della cucina italiana quale patrimonio immateriale dell’Unesco ci incoraggia a fare ancora di più. Ogni ricetta della nostra cucina racconta i territori, promuove una dieta mediterranea sostenibile ed equilibrata, è innovazione e uno straordinario volano di crescita e prosperità».
Sui social, anche il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini ha festeggiato «la cucina italiana Patrimonio dell’umanità Unesco! La prima nel mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. Un premio alla nostra filiera agroalimentare che ci riempie di orgoglio e di soddisfazione — ha scritto —. Dobbiamo essere custodi e promotori di questa eccellenza, apprezzata e imitata ovunque. Alla faccia di chi vuole metterci cibo da laboratorio e insetti nei piatti: viva la nostra cucina, viva le nostre tradizioni».
Cosa dicono gli chef
Massimo Bottura, in diretta a «È sempre mezzogiorno», la trasmissione di Rai 1 condotta da Antonella Clerici, ha ribadito come «la cucina italiana è unica al mondo nel suo genere. Non è solo un insieme di piatti o ricette, ma è un rito d’amore, un linguaggio fatto di gesti, di profumi e sapori che tengono unito un Paese intero. Attorno a una tavola apparecchiata l’Italia si riconosce: lì si condividono sogni, si litiga si fa pace, si tramandano memorie. Lo spiegai all’apertura del Refettorio di Parigi. Per noi non è solo nutrirsi: è prendersi cura dei famigliari, degli amici, dei nostri ospiti nei nostri ristoranti o nei nostri Refettori. Ogni regione custodisce una propria grammatica del gusto: un modo diverso di unire la farina all’acqua, l’olio alla luce, il tempo alla pazienza. In questa biodiversità di paesaggi, culture e tradizioni, sta la nostra vera ricchezza. La cucina italiana è un patrimonio immateriale vivente: costruito giorno dopo giorno da milioni di mani di contadini, casari, allevatori, artigiani, cuochi. Riconoscerla come Patrimonio dell’Umanità significa riconoscere la sua forza nel creare legami, nel costruire comunità e nel restituire dignità. Perché quando il gusto incontra la memoria non è più solo cucina: è cultura, è l’Italia che ogni giorno si rinnova cucinando per amore».
Per Niko Romito, chef del tristellato «Reale» a Castel di Sangro, L’Aquila, «la cucina italiana rappresenta soprattutto una responsabilità: questo riconoscimento ci ricorda che la nostra cucina non è solo un insieme di ricette, ma un patrimonio vivo fatto di territori, gesti, tecniche e identità. Come cuoco significa dare ancora più forza alla ricerca, alla sostenibilità, alla purezza del gusto. È un invito a custodire e allo stesso tempo a innovare con consapevolezza». Tra le strade più efficaci per valorizzare e tutelare la cucina italiana nel mondo, secondo lo chef e imprenditore, «ora più che mai servono tre cose: formazione, filiere e comunicazione autentica. La mia cucina nasce dall’Abruzzo: dalla montagna, dalla sobrietà dei sapori, dalla natura che ti obbliga a essere essenziale. Questo territorio mi ha insegnato a togliere, a cercare l’essenza, a costruire gusto senza sovrastrutture. L’Abruzzo resta il mio punto di partenza, ma il dialogo è ormai globale».

Il riconoscimento della cucina italiana come patrimonio Unesco è «la conferma di ciò che rappresenta nel mondo e sarà un volano per tutto il comparto agroittico alimentare italiano». Così Chicco Cerea, executive chef del ristorante tre stelle Michelin «Da Vittorio», Brusaporto, Bergamo, che ha aggiunto: «Ho la fortuna di poter viaggiare molto e cucinare in tutto il mondo: tutte le volte che ho portato i prodotti della cucina italiana ho sempre ricevuto grandi risultati e grandi apprezzamenti». I potenziali frutti di questo risultato sono numerosi, «ma la capacità di farli effettivamente fiorire è in capo alle istituzioni, da come faranno corso a questa bellissima affermazione e da come ci permetteranno di veicolare i nostri prodotti nel mondo», ha sottolineato Cerea. «Alcune volte abbiamo ancora delle difficoltà a portare le eccellenze italiane, a farle riconoscere». Non a caso, il rischio di italian sounding è sempre dietro l’angolo: «I nostri prodotti sono tra i più contraffatti perché sono i più ambiti, i migliori. E dobbiamo fare, su questo, molta attenzione».
Raggiunto al telefono, Franco Pepe, maestro pizzaiolo titolare di «Pepe in Grani» a Caiazzo, Caserta, si è così espresso: «Oggi è un giorno bellissimo: ha il sapore delle notti magiche dei Mondiali. Sono orgoglioso di essere italiano una volta di più. Questo riconoscimento nasce dalla terra, dai contadini e dalle aziende, e arriva nei piatti dei clienti grazie alla professionalità di chef, cuochi e pizzaioli. Una vittoria collettiva, nessuno escluso». Pepe si è poi soffermato sul lavoro silenzioso delle filiere: «Il valore di ciò che cuciniamo prende forma dalla abilità e dalla dedizione di chi coltiva, di chi produce, di chi trasforma. La nostra forza arriva da qui. Nel fare pizza, io devo e voglio rendere merito alle piccole aziende e ai contadini che tutto il mondo ci invidia. Faccio un esempio: la mia “margherita sbagliata”, famosa in tutto il mondo, è nata proprio per esaltare una piccola produzione di pomodoro riccio: dietro a ogni piatto, c’è un pezzo d’Italia che merita di essere celebrato. Trovo bellissimo che, ora, questo sia stato ufficializzato». E in conclusione: «Ogni riconoscimento va proiettato al domani. Io penso sempre al futuro: abbiamo l’occasione di elevare ancora di più la considerazione e il valore della cucina italiana nel mondo. Dipende da noi. È un tassello che ci colloca in una posizione nuova nel panorama internazionale. Cavalchiamo l’onda!».
Stando alle parole rilasciate a Adnkronos da Heinz Beck, chef del tristellato «La Pergola» di Roma, «non c’è nessun Paese che ha così tanto da raccontare come l’Italia in materia di cucina. Questo riconoscimento, però, servirà ad accendere un ulteriore focus sul made in Italy agroalimentare. Non parliamo di un’unica cucina, ma di tante regioni, di tante ricette e tradizioni e poi di tanti prodotti e soprattutto di svariate tecniche. E se qualcuno riduce la cucina italiana a pasta e pizza, oggi si deve ricredere. La cucina italiana è molto di più: è cultura e tradizione, ha un patrimonio immenso e si merita veramente questo riconoscimento. Nell’evolvere, è importante che non dimentichi la sua identità. E fondamentale che racconti sempre cose nuove, belle e interessanti, ma il nostro bagaglio culturale culinario non dovrebbe essere mai dimenticato quando mettiamo mano alle nostre ricette».
«La cucina italiana, un patrimonio di gesti secolari da tutelare e tramandare che appartiene a tutto il Mediterraneo. Il simbolo di questa cultura? Tonno e conserve. L’innovazione? Recuperare e conservare quei gesti che ci appartengono». Pino Cuttaia, chef del bistellato «La Madia» di Licata, Agrigento, che ha fatto della contaminazione e del recupero del gesto antico la propria missione, ha definito «straordinario» il riconoscimento Unesco, «giunto — come spiegato all’Adnkronos — anche grazie al lavoro di colleghi come Massimo Bottura e di altri che, dalla Spagna alla Francia, hanno fatto squadra, consapevoli che la cucina italiana non è solo un patrimonio dell’Italia: è un patrimonio che appartiene a tutto il Mediterraneo perché contiene anche i loro gesti. Per la posizione dell’Italia, per la sua storia, per le contaminazioni che l’Italia ha avuto, questo patrimonio collega tutto il Mediterraneo attraverso gesti simili, gesti comuni che ci appartengono, dalla Spagna al Portogallo, dalla Grecia alla Tunisia. Gesti che sono stati tramandati attraverso le contaminazioni. La cucina italiana patrimonio Unesco vuol dire preservare e proteggere quei gesti secolari, un know how da tutelare». «L’innovazione — ha concluso Cuttaia — sta proprio nel recuperare quei gesti e conservarli perché abbiamo un patrimonio gastronomico da proteggere». Un patrimonio ricchissimo e variegato, ma se dovesse scegliere un simbolo di questa antica tradizione, Cuttaia non ha dubbi: «Tonno e conserve. Con il tonno che migra dallo stretto di Gibilterra al Mediterraneo», simbolo stesso della contaminazione, e le conserve, simbolo di gesti antichi, «dal cappero al pomodoro, dall’oliva alla bottarga, dall’acciuga ai carciofini alla cipolla, patrimonio delle coste di quel bacino del mediterraneo che diventa patrimonio italiano ma non solo. Secoli di storia da difendere che ne hanno fatto un patrimonio Unesco».
Gennaro Esposito, chef del bistellato «Torre del Saracino» di Vico Equense, Napoli, a La Presse ha fatto sapere che «con questo riconoscimento vengono premiate tutte le passate generazioni che hanno fatto cucina anche nei momenti difficili della storia del nostro Paese, quando si è fatto cucina con poco, quando si è fatto cucina con una matrice di semplicità, di povertà, addirittura. Oggi abbiamo più libertà di espressione, più prodotti, più strumenti, più tecnologia, e non dobbiamo fare altro che sublimare quella quella matrice». E ancora: «È un bellissimo attestato che rende merito ulteriormente al momento di entusiasmo che vive la cucina italiana, quella con più gradimento nel mondo. Darà una grinta maggiore a tutti noi che facciamo sempre questo lavoro e una grande credibilità al prodotto cucina italiano», ha aggiunto. Con quale piatto celebrerebbe la vittoria? «Io preparerei due cose: una super classica, uno spaghetto a pomodoro e basilico, il passepartout della cucina italiana nel mondo. E poi farei la mia cucina che è mix di influenze, di contaminazioni con la cucina del momento, una cucina sana, di verdure, fresca: il cipollotto cotto sotto la cenere con terra di parmigiano e una spuma di papaccella». Infine una riflessione: «Io — ha concluso Esposito — penso che fino adesso la cucina italiana abbia avuto una parte di romanticismo che forse a volte non rendeva giustizia alla complessità, alla sensibilità di una cucina molto raffinata, molto sofisticata nel modo di essere interpretata. Questo riconoscimento è senz’altro un modo anche per affermare che si tratta di una grande cucina che richiede grandi prodotti e non è solo una questione di nonne, di mamme e di romanticismo».
Commenti dal mondo vitivinicolo
Dichiarazioni anche dall’universo del vino. Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione italiana vini (Uiv) che dichiarato che «per la Cucina italiana quello a Patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco è un riconoscimento “alla carriera”, ma con ancora lunghi secoli davanti. E il mondo del vino italiano esulta, perché è parte di essa: in tavola assieme alla cucina italiana c’è anche il “suo” vino. Condividiamo però quanto affermato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: la cucina italiana è anche ricchezza e lavoro. E il vino contribuisce in maniera determinante anche a questi aspetti — che non sono solo immateriali —, con un saldo commerciale attivo con l’estero per circa 7,5 miliardi di euro l’anno».
Gli ha fatto eco Paolo Castelletti, che di Uiv è segretario generale: «Questo è un giorno di grande orgoglio, raggiunto anche grazie alla determinazione del Governo italiano. Siamo pronti a trasferire questo orgoglio in tutto il mondo, anche con una campagna in grado di abbinare in un corpo unico ciò che da sempre è simbolo del saper fare italiano».
Soddisfazione anche dal Presidente di Federvini Giacomo Ponti: «Accogliamo questa notizia con orgoglio. Vini, spiriti e aceti sono da sempre parte integrante e indissolubile della cucina italiana, elementi fondanti di quel rito della convivialità che il mondo ci invidia e oggi celebra. Questo riconoscimento non premia solo i piatti, ma l’intera cultura della tavola, dove le nostre eccellenze enologiche, i distillati, gli amari, i liquori della tradizione e gli aceti giocano un ruolo da protagonisti nel definire l’identità gastronomica nazionale. È la vittoria di una filiera che ha saputo custodire la tradizione guardando al futuro. Un sentito ringraziamento va alle Istituzioni e a tutti coloro che si sono adoperati con impegno per il successo di questa candidatura».
Voci fuori dal coro

La notizia della cucina italiana da oggi Patrimonio culturale immateriale dell’umanità sta rimbalzando a ogni latitudine. Sono tanti a commentarla e non soltanto dagli addetti ai lavori in senso stretto. Alberto Grandi, professore associato di Storia del cibo all’Università di Parma, dove insegna anche Storia dell’integrazione europea, storico dell’alimentazione e autore italiano noto per aver smontato i miti della cucina italiana, s’è detto «molto lieto del fatto che finalmente l’Unesco abbia riconosciuto la cucina italiana come patrimonio immateriale dell’umanità. Era ora che qualcuno con un timbro internazionale certificasse ciò che non è mai esistito, cioè un’idea astratta, levigata e volutamente artefatta della nostra cucina e del nostro rapporto con l’alimentazione». Ovvero che «gli italiani che mangiano sempre benissimo», che abbiamo «una cucina che è sempre come quella della nonna e che tutti noi conosciamo perfettamente a memoria tutte le tradizioni, che tradizioni non sono. Ecco, peccato che questa immagine non abbia alcuna relazione con la storia reale dell’alimentazione italiana, con ciò che gli italiani hanno portato in tavola per secoli e che portano in tavola ancora oggi». Da un suo video social si apprende inoltre che «in pratica noi abbiamo chiesto all’Unesco di certificare non la nostra realtà, ma la nostra caricatura gastronomica, cioè non come siamo ma come vorremmo essere visti e come vorremmo essere fotografati. Più che una operazione storica di salvaguardia della cultura, stiamo facendo semplicemente del marketing. Ma, d’altra parte, siamo un Paese che ha trasformato la fame in tradizione e quindi tutto questo ci sta benissimo».
Arrigo Cipriani, patron dell’Harry’s Bar di Venezia, fondato nel 1931 dal padre Giuseppe, all’Ansa ha detto che «si tratta di una dizione che non ha senso, un piatto può essere invece considerato patrimonio. Mi pare vago
questo riconoscimento. Non voglio sembrare sempre il bastian contrario — ha aggiunto —. Non esiste una possibile generalizzazione della cucina italiana: c’è quella del nord, del centro, del sud, della Sicilia. La storia e la frammentazione secolare dell’Italia prima dell’unificazione ha avuto peculiari ricette, una diversa dall’altra. Nel mio locale, ad esempio, facciamo cucina veneziana e veneta: il fegato alla veneziana è ben diverso da quello che si fa a Napoli o in altre zone. La cipolla, per questo piatto, deve essere cotta 40 minuti, non così altrove. Unificare quindi la cucina italiana che fa centinaia di piatti buonissimi, che ha diversissimi sapori e prodotti, cucinati anche in modi diversi, non ha senso. E poi vedremo sui locali il marchio dell’Unesco anche in quelli che non sanno cucinare».
L’iter
Nel 2023 il Governo italiano, attraverso il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, su impulso di tre comunità proponenti — Fondazione Casa Artusi di Forlimpopoli, Accademia Italiana della Cucina e la rivista La Cucina Italiana — aveva presentato la candidatura della «Cucina italiana: sostenibilità e diversità bioculturale» per l’inserimento nella Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco. Il 10 novembre 2025, il comitato tecnico dell’agenzia Onu ha dato un primo via libera: la candidatura ha ricevuto una valutazione tecnica positiva e gli esperti hanno raccomandato l’inserimento.
Perché la cucina italiana
La candidatura non celebra soltanto una serie di piatti celebri — pasta, pizza, risotti e tanti altri — ma riconosce la cucina come un sistema culturale complesso, fatto di tradizioni regionali, cicli stagionali, biodiversità agricola, convivialità e condivisione. La nostra cucina, insomma, è considerata una «arte di vivere», un tessuto sociale che unisce famiglie, comunità e territori, portando con sé memoria, identità e legami.
Benefici anche economici
Al di là del valore simbolico, il riconoscimento potrebbe avere un impatto concreto su turismo e lavoro: secondo alcune stime di Cst per Confesercenti, «l’effetto sui flussi turistici potrebbe tradursi in un incremento delle presenze straniere compreso tra il 6 per cento e l’8 per cento nei primi due anni, per un totale di circa 18 milioni di presenze turistiche aggiuntive». Sempre secondo Cst per Confesercenti «la ristorazione italiana è già un attrattore insostituibile del turismo». Nel 2024 i visitatori stranieri hanno speso 12,08 miliardi di euro in ristoranti, bar e pubblici esercizi, il 7,5 per cento in più rispetto al 2023. Le anticipazioni per il 2025 indicano un ulteriore aumento, con un totale atteso di circa 12,68 miliardi di euro, pari a una crescita del 5 per cento. A questi si aggiungono i viaggi turistici motivati dall’enogastronomia che generano già oggi 9 miliardi di euro di spesa diretta: un dato che conferma il ruolo della cucina italiana come uno dei principali fattori di scelta della destinazione. Infine, cosa ben più importante, valorizzare la cucina come patrimonio vivente potrebbe contribuire a sostenere le piccole realtà locali — agricoltori, ristoratori, produttori — che custodiscono sapere e sapori, evitando l’omologazione e l’impoverimento culturale.
Unesco, alcuni numeri
A oggi l’Unesco ha riconosciuto come Patrimonio immateriale 788 elementi in 150 Paesi del mondo. Gli elementi italiani iscritti nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale sono 19, a cui si aggiunge 1 elemento iscritto al Registro delle Buone Pratiche di Salvaguardia. La cucina italiana viene ritenuta inclusiva, superando barriere culturali e generazionali. Inoltre, l’aderenza a principi come il contrasto allo spreco alimentare e la riduzione del consumo di risorse la rende un modello di sostenibilità ambientale. La decisione dell’Unesco rappresenta anche un riconoscimento del saper fare e del saper esportare delle nostre imprese agro-alimentari, veri e propri ambasciatori non solo del cibo ma della società italiana nel mondo.
Le altre cucine al mondo già patrimonio Unesco anno per anno
Tra le tradizioni gastronomiche già riconosciute figurano la cucina tradizionale messicana (2010), il Pasto gastronomico dei francesi (2010), il Washoku giapponese (2013) e la Dieta Mediterranea, iscritta a partire dal 2010.