BRUXELLES – C’è un momento, nella politica, in cui il linguaggio felpato della diplomazia lascia il posto alla crudezza della realtà. Un momento in cui le direttive scritte nei comodi uffici di vetro si scontrano con il fango, il cemento e la vita vera dei cittadini. Quel momento è andato in scena pochi giorni fa al Parlamento Europeo, quando il Generale Roberto Vannacci ha preso la parola durante l’audizione della Commissaria designata per l’Ambiente, la svedese Jessika Roswall. Niente giri di parole, niente tecnicismi incomprensibili: solo un vecchio adagio latino usato come una clava contro l’intera architettura del Green Deal europeo.

“Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” L’incipit è di quelli che fanno calare il gelo in aula. Vannacci, in divisa metaforica da combattimento, si rivolge alla rappresentante della Commissione von der Leyen con una citazione che pesa come un macigno: “Errare è umano, perseverare è diabolico”. Non c’è bisogno del traduttore simultaneo per capire il messaggio. Per il Generale, l’Unione Europea non sta semplicemente sbagliando; si sta ostinando in un errore che ha assunto tratti maligni, quasi perversi, perché perpetrato ai danni della sicurezza e del portafoglio dei cittadini europei.

Ma qual è questo “errore diabolico” di cui parla Vannacci? È l’ideologia green spinta all’estremo, quella che, secondo l’eurodeputato, ha perso ogni contatto con la realtà fisica del nostro continente.

Trote al posto delle Persone: Il Paradosso delle Dighe Il cuore dell’intervento di Vannacci tocca un nervo scoperto, specialmente per chi vive in territori fragili come l’Italia, recentemente martoriata da alluvioni devastanti. La critica si concentra sulla Nature Restoration Law e sulle politiche che incentivano la rimozione delle barriere fluviali per “liberare” i corsi d’acqua.

“Le dighe servono e non vanno distrutte per far nuotare le trote”, tuona Vannacci. Una frase che sintetizza con brutale efficacia lo scontro tra due visioni del mondo opposte. Da una parte, la visione bucolica di Bruxelles, che sogna fiumi liberi e selvaggi dove la biodiversità possa prosperare senza l’interferenza umana. Dall’altra, la visione pragmatica di chi sa che un fiume non regimato è una minaccia mortale. Per Vannacci, l’idea di abbattere opere idrauliche costate fatica e denaro, fondamentali per la gestione delle acque, solo per favorire la risalita della fauna ittica, non è solo uno spreco: è un atto di irresponsabilità criminale verso chi abita a valle.

Il Cemento che Salva e gli Alberi che Uccidono L’affondo prosegue spostandosi su un altro dogma dell’ambientalismo moderno: la rinaturalizzazione degli argini. Vannacci sfida apertamente la narrazione secondo cui il cemento è il nemico assoluto. “Gli argini dei fiumi devono essere rafforzati, anche in calcestruzzo, e non vanno abbattuti per fare in modo che la natura abbia il suo corso”.

Il riferimento alle recenti catastrofi climatiche – dall’Emilia Romagna a Valencia – è implicito ma assordante. Quando la “natura fa il suo corso” senza controllo, porta morte e distruzione. E qui Vannacci introduce un’immagine potente e terrificante: gli alberi negli alvei dei fiumi. Spesso protetti come oasi di biodiversità, per il Generale questi tronchi, una volta sradicati dalla furia delle acque, si trasformano in “arieti che sfondano case e piloni dei ponti”.

È una critica feroce alla cosiddetta “incuria programmata” mascherata da tutela ambientale. Lasciare che la vegetazione invada i letti dei fiumi significa armare l’acqua. Vannacci chiede pulizia, manutenzione, intervento umano. Chiede, in sostanza, di tornare a governare il territorio invece di subirlo passivamente in nome di un ideale naturalistico astratto.

Energia: La Convenienza contro l’Imposizione Non solo acqua e fango. L’eurodeputato della Lega allarga il campo alla politica energetica, un altro pilastro traballante della strategia europea. Anche qui, il principio guida deve essere il pragmatismo economico, non il dirigismo ideologico. “Le fonti energetiche vanno cambiate quando è conveniente e non quando ce lo impone una direttiva Europea”.

La transizione forzata, quella che impone scadenze draconiane per l’addio ai motori termici o per l’efficientamento delle case (la tanto discussa direttiva “Case Green”), viene respinta al mittente. Vannacci si fa portavoce di quell’Europa produttiva e lavoratrice che non può permettersi di sacrificare la propria competitività e i propri risparmi sull’altare della decarbonizzazione a tappe forzate. Se la tecnologia rende l’alternativa conveniente, il mercato si adeguerà; ma impoverire i cittadini per decreto è, ancora una volta, “diabolico”.

La Domanda Finale: Umano o Diabolico? La chiusura dell’intervento è una sfida diretta alla Commissaria Roswall. Vannacci le chiede di gettare la maschera: “Le volevo chiedere se vuole dare ragione a questo vecchio proverbio latino oppure se vuole cambiare qualcosa mostrandoci il suo vero volto umano”.

È un aut aut politico. Continuare sulla strada tracciata dalla Commissione precedente significa, per Vannacci, perseverare nell’errore diabolico. Cambiare rotta, rivedere i regolamenti, fermare la furia iconoclasta contro le dighe e la manutenzione idraulica, significherebbe invece mostrare un volto “umano”, comprensivo delle esigenze reali della popolazione.

Perché questo discorso è importante Al di là delle opinioni personali sul personaggio, l’intervento di Roberto Vannacci a Bruxelles segna un punto di non ritorno nella narrazione politica europea. Non è più solo una questione di destra contro sinistra. È lo scontro tra la “bolla di Bruxelles” – percepita come distante, elitaria e ossessionata da target climatici irraggiungibili – e l’Europa delle province, delle campagne e delle zone industriali, che chiede sicurezza idrogeologica, costi energetici sostenibili e meno burocrazia.

Le parole di Vannacci risuonano potenti perché toccano paure concrete. Chi ha visto l’acqua entrare nel proprio salotto, chi teme per il proprio posto di lavoro a causa della transizione energetica, trova in queste parole una legittimazione che spesso manca nel dibattito mainstream.

Resta ora da vedere se la Commissione raccoglierà la sfida o se, come teme il Generale, sceglierà di perseverare. Ma una cosa è certa: l’avvertimento è stato lanciato, e l’eco di quel “perseverare autem diabolicum” risuonerà a lungo nei corridoi di Strasburgo e Bruxelles. La battaglia per il futuro dell’ambiente – e del buon senso – è appena iniziata.