VANNACCI SBUGIARDA MIRIAM FALCO E GLI FA PERDERE IL CONTROLLO CON UNA REPLICA STREPITOSA

Il salotto televisivo si è trasformato in un’arena incandescente, dove due visioni del mondo opposte e inconciliabili sono entrate in rotta di collisione. Da una parte Roberto Vannacci, figura ormai nota per le sue posizioni dirette e spesso controverse, dall’altra Miriam Falco, portavoce di un attivismo ambientale che grida l’urgenza di agire contro la crisi climatica. Quello che doveva essere un dibattito sulla transizione ecologica è degenerato rapidamente in uno scontro personale, fatto di interruzioni continue, dati sventolati come armi e accuse morali pesantissime.
La “Rivoluzione Verde” è un lusso per ricchi?
Il dibattito si è acceso fin dalle prime battute, quando Vannacci ha lanciato la sua provocazione principale: la transizione verde, così come viene impostata oggi, non sarebbe altro che una “rivoluzione” forzata, che ignora i tempi della scienza e della tecnologia. Secondo il Generale, comprimere in modo smodato i tempi del cambiamento non produce un pianeta più pulito, ma solo “decrescita economica, provvedimenti liberticidi e impoverimento del cittadino”.
La stoccata più dura arriva subito dopo: “Si può essere ambientalisti solo se si è ricchi”. Una frase che ha fatto immediatamente salire la tensione in studio. Per Vannacci, le politiche green attuali sono insostenibili per la classe media e bassa, che rischia di pagare il prezzo più alto di scelte ideologiche scollegate dalla realtà economica delle famiglie italiane.
La rabbia di chi ha paura del fango
Dall’altra parte della barricata, Miriam Falco non ci sta. La sua replica non si basa su grafici o teorie economiche, ma sulla paura tangibile e sulla conta dei morti. “Le persone si stanno già impoverendo, le persone stanno già morendo”, ha incalzato l’attivista, elencando le tragedie recenti che hanno colpito l’Italia: 11 morti nelle Marche, 17 in Emilia Romagna, 8 in Toscana, 15 a Ischia.
Per la Falco, la crisi climatica non è un dibattito accademico sul PIL, ma una minaccia fisica immediata. “Io rischio di perdere la mia casa, che è al piano terra, perché rischia di esondare il Lambro”, ha confessato con voce tremante, portando la discussione su un piano estremamente personale ed emotivo. La sua richiesta è chiara: se la casa andrà persa, devono pagare i responsabili di questa inazione climatica, non i cittadini comuni. “Non voglio perdere la casa e se pure la perdo voglio che paghino i responsabili e non di tasca mia”.
La guerra dei dati: inquinamento in calo o crisi nera?

È qui che lo scontro si è spostato sul piano dei numeri, con Vannacci che ha tentato di smontare la narrazione catastrofista della sua interlocutrice. Citando dati della Commissione Europea, il Generale ha sostenuto che l’inquinamento nel Vecchio Continente è in “inesorabile diminuzione” dagli anni ’70. “La Milano degli anni ’70 era molto più inquinata di quella di oggi”, ha affermato, accusando l’ambientalismo moderno di ignorare i progressi fatti.
Secondo Vannacci, il superamento dei limiti odierni dipende solo dal fatto che tali limiti sono stati abbassati drasticamente pochi anni fa, non perché l’aria sia effettivamente peggiorata. Una visione che cozza violentemente con la percezione comune e con l’allarme lanciato dagli scienziati del clima, ma che Vannacci difende a spada tratta come “dato appurato”.
“Vite umane come costi accettabili”: l’accusa shock
Il momento più basso e teso del confronto è arrivato quando Vannacci ha introdotto il concetto di “bilancio complessivo”. Secondo la sua tesi, sebbene l’inquinamento possa causare morti premature, la ricchezza generata dal progresso industriale (anche inquinante) finanzia ospedali, scuole e ricerca, allungando l’aspettativa di vita media. “A fronte delle morti anticipate ce ne sono 10, 30 volte di più di morti posticipate”, ha spiegato.
Questa logica utilitaristica ha fatto esplodere Miriam Falco: “Lei sta dicendo che va bene che le persone muoiano adesso per le alluvioni? Che i bambini morti sono costi accettabili per il progresso?”. L’accusa è pesantissima: Vannacci verrebbe dipinto come un cinico disposto a sacrificare vite umane sull’altare dell’economia.
Vannacci, visibilmente irritato dalle continue interruzioni (“Si è educata per cortesia”, “La smetta di interrompere”), ha cercato di mantenere il punto, sostenendo che non si tratta di cinismo, ma di guardare la realtà: il progresso ha dei costi, ma i benefici complessivi, in termini di vita media e benessere, sono superiori.
Un dialogo tra sordi
Il dibattito si è chiuso senza vincitori né vinti, ma con una fotografia nitida della polarizzazione attuale. Da un lato c’è chi, come Vannacci, predica un realismo economico che vede l’ambientalismo radicale come un pericolo per il benessere acquisito; dall’altro c’è chi, come la Falco, vede nel cambiamento climatico una sentenza di morte che non ammette più calcoli economici.
In mezzo, restano gli spettatori, divisi tra la paura del disastro ambientale e quella del disastro economico. Una cosa è certa: toni così accesi dimostrano che il tema della transizione verde non è più solo una questione tecnica, ma una vera e propria battaglia ideologica che sta spaccando il Paese. E mentre in TV si urla, fuori il tempo scorre, in attesa della prossima pioggia o della prossima tassa green.