L’epidemia di sifilide del 1495: la malattia mortale che dilagò in tutta Europa

All’inizio di un nuovo secolo, una piaga silenziosa emergeva dalle ombre, portata da viaggiatori e mercenari. Con un tocco mortale, essa non faceva distinzione tra ricchi e poveri, re e contadini; i suoi effetti erano devastanti, trasformando i volti in maschere di dolore e disperazione. In un’epoca in cui la medicina era ancora agli inizi, la paura si diffondeva più velocemente della malattia stessa. Ciao, viaggiatore della storia! Hai mai immaginato una malattia che si propaga come il fuoco, lasciando una scia di devastazione ovunque passi? Oggi esploreremo il terrificante focolaio di sifilide che travolse l’Europa nel 1495. Prima di intraprendere questo viaggio di terrore e mistero, lascia il tuo super like e, senza indugi, iniziamo il video.
L’origine dell’incubo: nell’anno 1495, Cristoforo Colombo tornò dalle sue spedizioni nelle Americhe portando con sé più di semplici storie di nuove terre. L’equipaggio, composto da avventurieri e mercenari, sbarcò a Napoli, in Italia, senza sapere di essere portatore di una malattia devastante. Inizialmente conosciuta come il male napoletano, la sifilide si diffuse rapidamente in città. Le strade, un tempo vivaci, divennero uno scenario dell’orrore, con malati che mostravano lesioni grottesche e sintomi terrificanti. I resoconti dell’epoca descrivono scene scioccanti: uomini e donne coperti da ferite dolorose, con le carni che marcivano mentre erano ancora in vita. Un cronista italiano dell’epoca, Nicolò Scillacio, scrisse della malattia in termini agghiaccianti, descrivendo come le carni dei malati cadessero a pezzi e come le ossa sembrassero divorate dall’interno. La paura si diffuse rapidamente poiché nessuno sapeva come la malattia venisse trasmessa, e il sospetto ricadeva su chiunque mostrasse i primi segni di infezione.
L’espansione della piaga: la rapida diffusione della sifilide in Europa fu facilitata dai conflitti e dai movimenti delle truppe. Con l’invasione di Carlo VIII di Francia in Italia, i soldati infetti portarono la malattia oltre i confini italiani. Le battaglie combattute nei campi italiani divennero un terreno fertile per la piaga, che si diffondeva da soldato a soldato e, infine, di città in città. In poco tempo, Parigi, Londra e Barcellona caddero sotto il giogo della piaga. Nella capitale francese, le case di prostituzione furono identificate come focolai di infezione. I registri dell’epoca mostrano che i bordelli parigini divennero punti di contaminazione, con molte prostitute che soffrivano di terribili deformazioni facciali. La malattia, tuttavia, non si limitava alle classi inferiori. A Londra, medici come Thomas Linacre riportarono casi di nobili e cortigiani infetti, molti dei quali ricorsero a trattamenti dolorosi e inefficaci, come i bagni di mercurio, nella speranza di una cura. A Barcellona, la situazione era altrettanto catastrofica; i racconti di commercianti e marinai infetti si diffusero rapidamente, creando un’atmosfera di panico generalizzato. Le autorità locali tentarono di attuare quarantene, ma la mancanza di comprensione sulla trasmissione della malattia rese questi sforzi in gran parte inefficaci. I resoconti dei medici catalani dell’epoca descrivono scene di orrore, con pazienti che mostravano ferite aperte e gonfie, spesso accompagnate da dolori insopportabili.
La disperazione nelle corti europee: la sifilide non risparmiò nemmeno le corti reali. Erano frequenti i resoconti di membri della nobiltà colpiti dalla malattia. A Parigi, la corte di Luigi XII fu scossa da una serie di infezioni; nobili un tempo belli e potenti si videro ridotti a ombre di se stessi, con i volti segnati da lesioni orribili. La malattia fu soprannominata “la grande pustola” da alcuni cronisti di corte, in riferimento alle terribili ferite che sfiguravano le vittime. In Spagna, la situazione era altrettanto terribile. Isabella di Castiglia e la sua corte vivevano nel timore costante. Esistono resoconti secondo cui lo stesso marito di Isabella, Ferdinando II d’Aragona, avrebbe sofferto di sintomi sospetti, sebbene i registri ufficiali evitassero di dettagliare le sue condizioni di salute. Il trattamento nella corte spagnola spaziava dai rimedi a base di erbe ai rituali religiosi che cercavano l’intervento divino; in un tentativo disperato, alcuni cortigiani si recavano in santuari distanti come Santiago di Compostela nella speranza di una cura miracolosa. La disperazione delle corti europee si rifletteva nei frenetici tentativi di trovare una cura. A Venezia, i medici del collegio medico si riunirono per discutere nuovi metodi di trattamento, mentre a Londra la gilda dei chirurghi sperimentava miscele di mercurio ed erbe esotiche, molte delle quali causavano più danni che benefici. In un resoconto, un nobile veneziano scrisse come le grida di dolore dei pazienti in cura echeggiassero per le strade di notte, una visione terrificante che non faceva che aumentare il panico tra la popolazione. Questi esempi storici mostrano l’entità dell’impatto della sifilide nell’Europa del XV secolo, una piaga che non conosceva barriere sociali e che trasformò il continente in uno scenario di dolore e disperazione.
La quotidianità della malattia: nelle strade delle grandi città europee, la vista dei malati era costante. Uomini e donne esibivano piaghe aperte, mentre le loro espressioni di dolore riflettevano la sofferenza interiore. Le case venivano trasformate in ospedali improvvisati dove guaritori e medici cercavano, senza successo, di alleviare le sofferenze dei malati. In molte città, l’odore fetido delle ferite e dei rimedi riempiva l’aria, rendendo l’atmosfera ancora più opprimente. L’isolamento sociale divenne comune, poiché il timore della contaminazione era grande. Molti malati venivano allontanati dalle proprie famiglie e comunità, confinati in lebbrosari o case di quarantena. Un resoconto da Napoli descrive come i malati venissero portati su un’isola vicina dove venivano lasciati morire da soli, lontano dagli occhi dei sani. La vita notturna praticamente scomparve e le strade, un tempo piene di vita, erano ora deserte al calar della notte. La religione giocò un ruolo cruciale durante l’epidemia di sifilide; le chiese gremite di fedeli cercavano la protezione divina e le processioni religiose divennero frequenti. Molti credevano che la malattia fosse un castigo divino e che solo la fede potesse portare la cura. A Roma, Papa Alessandro VI organizzò diverse cerimonie di penitenza pubblica a cui partecipavano migliaia di persone nella speranza di placare l’ira divina. In un esempio particolarmente significativo, una processione a Siviglia riunì più di diecimila persone che camminarono scalze per le strade della città, flagellandosi in segno di pentimento. Superstizione e paura si mescolavano, portando a pratiche bizzarre e spesso disumane. In alcune regioni, si credeva che la malattia potesse essere curata attraverso rituali che includevano l’uso di sangue di animali sacrificati o bagni in acque sacre. A Venezia, si narrava di persone che si tuffavano nei canali, credendo che le acque purificatrici della città potessero liberarle dalla maledizione. Queste pratiche, tuttavia, non facevano che riflettere la disperazione e la mancanza di comprensione sulla vera natura della malattia.
La ricerca della cura: con il progredire della sifilide, la ricerca di una cura si intensificò. Alchimisti e medici di tutta Europa dedicarono le loro vite alla ricerca di rimedi che potessero contenere la malattia. In città come Venezia e Londra, laboratori improvvisati producevano sostanze strane e pozioni che promettevano la guarigione, ma spesso portavano più sofferenza. La “mercurialis”, un trattamento popolare dell’epoca, prevedeva l’applicazione di mercurio sulle lesioni; sebbene alcuni credessero che aiutasse, gli effetti collaterali includevano gravi danni al sistema nervoso e alla salute generale. Le teorie sull’origine della sifilide erano varie: alcuni credevano fosse una punizione divina, mentre altri ipotizzavano cospirazioni internazionali. In un tentativo disperato di trovare una soluzione, alcuni medici ricorsero a trattamenti estremi. A Milano, il rinomato medico Giovanni da Vigo scrisse un trattato suggerendo l’uso dell’arsenico per trattare la sifilide, una pratica che si rivelava spesso fatale. In un altro esempio, il medico francese Ambroise Paré sperimentò una miscela di mercurio e trementina che ebbe effetti devastanti sui suoi pazienti. La diffusione della paura e la ricerca incessante di una cura portarono la società agli estremi. In Germania, divennero comuni i resoconti di pazienti sottoposti a trattamenti con sanguisughe e ventose nel tentativo di purificare il sangue contaminato. In un resoconto particolarmente grafico, un medico olandese descrisse come uno dei suoi pazienti fu sottoposto a una serie di salassi che quasi lo portarono alla morte, prima di soccombere infine alla malattia. Le autorità di sanità pubblica cercarono di attuare misure di controllo, ma la mancanza di conoscenza sulla trasmissione della malattia rendeva queste misure inefficaci. In alcune città, i malati venivano contrassegnati con segni visibili, come una fascia rossa sul braccio, per avvertire gli altri della loro condizione. A Firenze, le autorità arrivarono a creare “case della pestilenza” dove gli infetti venivano isolati, ma queste misure non facevano che aumentare lo stigma e la marginalizzazione dei malati. La lotta contro la sifilide alla fine del XV secolo e all’inizio del XVI secolo fu segnata da disperazione, dolore e ignoranza. La mancanza di trattamenti efficaci e la rapida diffusione della malattia trasformarono l’Europa in uno scenario di sofferenza umana. La ricerca di risposte e soluzioni continuò, ma la piaga lasciò un segno indimenticabile nella storia dell’umanità, un oscuro promemoria della fragilità della vita e del potere devastante delle malattie.
Siamo giunti alla fine di un altro viaggio, ma prima che tu vada, dimmi: preferiresti affrontare l’incertezza di una malattia mortale senza cura o vivere nel terrore costante di contrarre una piaga sconosciuta? La tua prospettiva è preziosa per noi, quindi lascia il tuo commento ed entra nella conversazione. Non dimenticate di lasciare il vostro like al canale, questa azione aiuta molto, e se questo video è stato rilevante per voi, condividetelo. Alla prossima e ci vediamo presto. Rimanete in pace, rimanete con Dio. Se c’è una cosa che tutti sanno già è che nell’Europa medievale non c’era carenza di malattie, e la più strana della storia è senza dubbio la malattia del ballo: persone afflitte danzavano freneticamente per giorni consecutivi fino a cadere morte. Ciao, viaggiatori della storia! Nel video di oggi ci imbarcheremo verso il Medioevo per svelare tutti i segreti di questa mortale malattia del ballo. Ma prima, lascia il tuo super like e iscriviti al canale. Ora, senza indugi, iniziamo il video.
I primi registri risalgono al giugno del 1374 nella città medievale di Aquisgrana, in Germania, quando la piaga del ballo iniziò e si diffuse rapidamente lungo la valle del Reno. In questo focolaio, i ballerini formavano cerchi e, tenendosi per mano, danzavano per ore e ore insieme in un delirio selvaggio, finché alla fine cadevano a terra in stato di esaurimento. Nel luglio del 1518, Fra Troffea uscì dalla sua piccola casa a Strasburgo, in Francia, e iniziò a ballare senza più fermarsi. Fra Troffea ballò tutto il giorno, con grande fastidio di suo marito; a forza di ballare finì per svenire e, stanca, dormì tutta la notte con un sonno molto agitato. E pensate che si sia fermata? Il giorno dopo, non appena sorse il sole, Troffea tornò a ballare e una folla si radunò intorno alla ballerina che danzava nel silenzio freneticamente, ignorando tutto e tutti intorno a sé. Nonostante i piedi sanguinanti e feriti, ballava come se non potesse fermarsi. Da qui sorgono le domande: cosa spinse Fra Troffea a ballare e perché non riusciva a smettere? In pochi giorni, almeno trenta donne si unirono a lei, e questo fu solo l’inizio della più strana piaga che colpì l’Europa medievale. La “mania del ballo”, come divenne nota, si diffuse presto a più persone a Strasburgo. Il cronista Daniel Specklin riferì che c’erano più di cento persone che ballavano contemporaneamente, mentre altri ne calcolavano un totale di quattrocento. L’epidemia divenne rapidamente una crisi; la città di Strasburgo e il consiglio municipale non avevano idea di come fermare il ballo. Solo una cosa era chiara: i ballerini non erano felici. Si contorcevano dal dolore, imploravano misericordia e gridavano aiuto. Con l’avanzare dell’estate, l’epidemia di ballo iniziò a mietere vite. Una cronaca riferì che durante il caldo estivo circa quindici persone morivano ogni giorno a causa del ballo. Il consiglio cittadino rimase perplesso e cercò medici locali per aiutare a diagnosticare il problema. Dopo aver escluso cause astrologiche e maledizioni soprannaturali, i medici dichiararono che le persone ballavano semplicemente perché soffrivano di “sangue caldo”, un problema di squilibrio dei loro umori. Secondo l’autorità medica classica Galeno, il sangue caldo poteva surriscaldare il cervello e causare follia. Il salasso era la risposta ovvia, poiché rimuovere il sangue caldo avrebbe aiutato i ballerini, ma il loro ballo maniacale rendeva la cosa impossibile. Così, invece, la città favorì ancora più ballo: assunsero musicisti per suonare musiche stimolanti nella speranza che potessero fermare la danza. In realtà, i musicisti assunti peggiorarono solo le cose; ogni volta che i ballerini afflitti inciampavano o rallentavano, i musicisti suonavano ancora più velocemente. Se la mania del ballo era una maledizione, il consiglio municipale sapeva cosa sarebbe successo in seguito: avrebbero dovuto reprimere il peccato a Strasburgo. Per cominciare, il consiglio chiuse le case da gioco e i bordelli; credevano che il gioco e la prostituzione irritassero i santi, che avrebbero potuto inviare la piaga del ballo per punire Strasburgo. Quindi la città arrestò tutti coloro che praticavano queste attività e li bandì. Oltre a reprimere il peccato, la città cercò anche di placare i santi donando una candela da cento libbre alla cattedrale, ma nemmeno la candela riuscì a fermare la piaga danzante. Poiché la mania del ballo continuava a flagellare Strasburgo nel 1518, la città tentò una nuova cura: si rivolsero a San Vito per aiutare i ballerini. San Vito fu martirizzato nel 303 d.C. per ordine degli imperatori romani Diocleziano e Massimiano quando era ancora un bambino; i suoi aguzzini lo gettarono in un calderone di piombo bollente con catrame e poi lo lanciarono a un leone affamato. Secondo la leggenda, San Vito uscì illeso dal calderone e il leone gli leccò semplicemente le mani. Dopo la morte, Vito ascese al paradiso e divenne un santo. San Vito aveva la reputazione di curare malattie, specialmente quelle legate agli arti tremanti o alla claudicazione; Strasburgo sperava che queste qualifiche rendessero San Vito il patrono del ballo. Verso la fine dell’estate, mentre la mania del ballo continuava, la città fece un passo drastico e un cronista descrisse la cura: mettevano i ballerini su dei carri e li inviavano al santuario di San Vito, che si trova in cima a una montagna. I ballerini continuavano a cadere davanti all’altare, allora il sacerdote celebrava una messa per loro dove ricevevano una piccola croce e scarpe rosse su cui il segno della croce veniva fatto con olio sacro, sia sulla parte superiore che sulle suole. Miracolosamente, le scarpe rosse funzionarono e l’epidemia del ballo giunse lentamente al termine; la maggior parte dei ballerini recuperò il controllo dei propri corpi. Quindi la strana infermità iniziò a essere chiamata “ballo di San Vito” perché il santo guarì i ballerini. Gli esperti moderni non riescono ancora a concordare su cosa esattamente causò il focolaio della mania del ballo che colpì Strasburgo nel 1518. Alcuni hanno suggerito una contaminazione alimentare, tuttavia questo non può spiegare i movimenti coordinati che duravano giorni. Altri hanno cercato di collegare la malattia all’epilessia o ad altre condizioni mediche, ma queste non possono spiegare la natura apparentemente contagiosa della malattia del ballo. Un’altra teoria suggerisce che i ballerini fossero membri segreti di un culto eretico che emergeva ogni decennio per ballare e divertirsi in pubblico, ma questa spiegazione fallisce anche nello spiegare la piaga poiché i ballerini erano chiaramente in agonia e molti morirono, senza contare che l’Europa era in massima allerta per gli eretici. Alcuni storici avanzano l’ipotesi che, dopo che la città di Strasburgo ebbe attraversato diverse gravi crisi di carestia tra il 1492 e il 1518 arrivando a uccidere innumerevoli persone, i focolai di vaiolo e lebbra aumentarono e gli orfanotrofi erano pieni. In breve, il 1518 fu un’epoca terribile anche per gli standard del periodo medievale. Sotto tale angoscia, l’isteria di massa fiorì; le persone temevano che la loro comunità fosse maledetta da forze soprannaturali e la paura della possessione faceva impazzire le persone. Le credenze superstiziose avevano il potere di assumere il controllo della mente e convincere le persone di essere vittime di poteri oltre il loro controllo. Persino la cura supporta questa teoria della mania del ballo: i ballerini credevano che San Vito potesse fermare il ballo e quindi la visita al santuario e le scarpe rosse avrebbero posto fine al loro tormento. La teoria dell’isteria di massa spiega la propagazione della malattia e la sua conclusione, così come il motivo per cui colpì Strasburgo nel 1518. Viaggio concluso e mistero della piaga del ballo svelato.